domenica 31 marzo 2013

Jamal Ahmad, L'acqua più dolce del mondo


Uscito in Italia nel 2012 presso Bollati Boringhieri, L'acqua più dolce del mondo [ma quanto piatto e fuorviante il titolo italiano, in confronto con l'originale e ben più suggestivo  The Wandering Falcon (Il falcone errante)], è il libro di esordio di Jamil Ahmad, nato nel 1933 a Jalandahar, nel Punjab. Sì, la data di nascita è proprio quella che ho scritto, l'autore insomma ha oggi 80 anni, età davvero insolita per un esordiente. In realtà il manoscritto del romanzo è rimasto sepolto per più di trent'anni in un baule, a estrarlo dal quale non è stato l'autore, ma uno dei fratelli minori che, con la complicità della moglie di Jamil, inviò il testo a un concorso letterario indetto in Pakistan. I giudici del premio, riconoscendo la qualità del testo di Ahmad, lo proposero a Penguin India per la pubblicazione, avvenuta nel 2011, quando l'autore aveva quindi 78 anni.

È difficile dire se ci troviamo di fronte a un romanzo o a una raccolta di racconti: la narrazione infatti procede per capitoli staccati, con salti temporali e spaziali, con l'introduzione di personaggi nuovi senza apparente legame con quelli conosciuti in precedenza. In realtà il fil rouge c'è ed è costituito dal personaggio di Tor Baz, che compare in tutti gli episodi narrati, curiosamente senza mai esserne il protagonista.

Chi è dunque il "falco nero" (così viene tradotto in italiano il nome Tor Baz) che veniamo a conoscere fin dalla sua nascita clandestina e che seguiamo poi nei suoi vagabondaggi di tribù in tribù? La sua venuta al mondo è segnata dalla tragedia, perché egli è il frutto dell'adulterio della madre, che è fuggita con l'uomo di cui si è innamorata, tradendo scandalosamente la fedeltà coniugale e le norme sociali della sua tribù, che non le perdonerà la grave colpa. Dopo anni di fuga infatti lei e il compagno verranno raggiunti dalla punizione del marito abbandonato e del padre di lei:  vendicato l'onore offeso, essi risparmiano però la vita del piccolo, che verrà raccolto da un gruppo di Beluci, in fuga dalla propria tribù perché ribelli. Comincia così il primo dei numerosi cambiamenti di scena e di appartenenza del giovanissimo Tor Baz, che incontreremo più volte, come adolescente al seguito di un mullah, poi come guida di viaggiatori stranieri, come informatore del governo, come compratore di schiave...

Personaggi diversi che portano lo stesso nome oppure un unico camaleontico personaggio? La risposta è difficile, ma in fondo poco importante: protagonista del libro, infatti, più che un singolo personaggio, è un mondo, quello antichissimo e variegato delle tante tribù nomadi che vivono "la dove i confini di Iran, Pakistan e Afghanistan si incontrano, nel groviglio sconnesso di colline accidentate ed erose dalle intemperie..", un territorio remoto e selvaggio, dove per di più soffia "il temutissimo bad-e-sad-o-bist-roz, il vento dei centoventi giorni", un vento che "per tutti e quattro i mesi dell'inverno infuria quasi ininterrottamente, sollevando nubi di polvere e sabbia talmente dense che chi ci finisce in mezzo riesce a malapena a respirare e a tenere gli occhi aperti" (p.9)

Attingendo alla sua lunga esperienza di funzionario del governo pakistano e di presidente della Tribal Development Corporation, Ahmad ci porta a conoscere la vita dei popoli di quelle terre nel periodo che precedette l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica, un mondo ormai lontano, in cui però la  realtà di queste tribù stava per essere sconvolta per sempre non solo dalla guerra, ma anche dall'avanzare di una modernità, nella quale non c'è posto per i nomadi che da secoli attraversano liberamente territori che ora invece sono divisi da confini di stato. Essi si vedono così sbarrare la strada in nome di regole che non appartengono alla loro cultura e in base alle quali la sopravvivenza del loro bestiame, loro unica ricchezza, è posta in un pericolo mortale:

Questo modo di vivere resisteva da secoli, ma non sarebbe durato per sempre. Rappresentava una sfida a certi concetti che il mondo aveva iniziato ad associare all'idea stessa di civiltà. Concetti come nazione, cittadinanza, lealtà incondizionata a un unico Stato; vita stanziale in contrapposizione a vita nomade, le leggi di Stato in contrapposizione a disciplina tribale. (p. 41-42)

E quando le tribù tentano di passare, per far abbeverare le greggi assetate, i soldati sparano su uomini e animali, ferendone e uccidendone molti. Le pecore e i cammelli sopravvissuti moriranno poi di sete nel viaggio di ritorno. A scomparire però non sono solo gli esseri viventi: con loro muore anche un modo di vivere, legato ai ritmi millenari della natura, alle migrazioni degli animali, al rinverdire dei pascoli. Muoiono anche i valori che a quel mondo erano legati: l'onore, la dignità, il rispetto per la tribù e per gli anziani. Capita così che alcuni ribelli, che si erano consegnati alle autorità allettati da un salvacondotto in realtà senza valore,  vengano giustiziati, in ottemperanza a leggi che sono loro estranee: "Con loro morì una parte stessa del popolo Beluci. Un po' della loro spontaneità nell'offrire accoglienza, un po' del loro garbo e della loro onestà. Tutto ciò venne processato, condannato e ucciso insieme ai sette uomini" (p.39).

Jamil Ahmad rievoca con commozione questa realtà scomparsa, senza però indulgere in una mitizzazione che farebbe torto alla verità, che ci dice invece che questo è un mondo durissimo, per sopravvivere nel quale è necessaria una straordinaria forza, una determinazione spietata, un mondo nel quale una moglie può valere meno di un  animale ben addestrato e in cui i bambini possono essere comprati e venduti. Ma è anche un mondo in cui il viandante di passaggio, anche se del tutto sconosciuto, viene accolto e rifocillato, in nome di millenarie leggi di solidarietà e ospitalità, e in cui la saggezza e l'esperienza degli anziani sono oggetto di grande rispetto.
Un mondo aspro, spesso ostile, ma segnato da un'arcana bellezza:

...la terra - la loro terra - si era adoperata affinché bellezza e colore non venissero cancellati del tutto dalle loro vite. Con mille e più tonalità di grigio e di marrone aveva tinteggiato le colline, la sabbia, le dune. C'erano inoltre le sfumature impercettibilmente cangianti del nero delle notti e della luce dei giorni, e i colori accesi dei piccoli fiori del deserto nascosti in mezzo ai cespugli polverosi, delle spire dei serpenti e dei guizzi delle lucertole che correvano a infilarsi sotto la sabbia. (p.27)

Con un linguaggio semplice, quasi disadorno, ma fortemente evocativo, il libro di Jamal Ahmad ci conduce a conoscere un mondo certamente pieno di contrasti, ma ugualmente ricco di fascino.

Jamal Ahmad, L'acqua più dolce del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

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