mercoledì 9 gennaio 2013

Patricia Schostein Pinnock, Il cielo di Cape Town

Patricia Schostein Pinnock è una poetessa e autrice di romanzi che vive in Sudafrica, ma è nata nel 1952 nella Rhodesia del Sud, oggi Zimbabwe. Decise di scrivere storie, poesie e canzoni per bambini, quando si rese conto che i libri sudafricani ignoravano quasi l’esistenza di bambini neri. Si è dedicata alla narrativa dopo un master in scrittura creativa, sotto la supervisione di J.M. Coetzee.

E’ diventata scrittrice di successo con il suo libro di esordio Skyline, pubblicato in originale nel 2000 e in Italia nel 2005, col titolo Il cielo di Cape Town, da Pisani, una casa editrice che si propone di “fare da tramite tra culture, filosofie, universi individuali e collettivi disparati ed eterogenei, per poter offrire nuove prospettive di indagine e approfondimento, nuovi punti di incontro e partenza."  Propone, dunque, storie e racconti da tutto il mondo, con un'attenzione particolare agli spazi inesplorati della Cina e dei paesi orientali.

Il cielo di Cape Town è, appunto, il romanzo d’esordio della scrittrice, una piacevole scoperta meritevole di attenzione. Numerosi personaggi con le loro storie si muovono al centro di Città del Capo.

 La voce narrante è quella di un’adolescente quattordicenne. Ci racconta di sé, di cui non è detto il nome, e della sua sorellina Mossie, a cui è strettamente legata, mentre prende le distanze dai genitori che non ama: un padre che se n’è andato di casa, una madre che non ha amici, che puzza di brandy e sigarette, qualche volta picchia la figlia.

Abitano allo Skyline, in cima a Long Street, al quinto piano, da dove si vede il mare: un caseggiato che sta diventando un brutto posto pieno di spacciatori e immigrati clandestini; è infatti il più importante punto di smercio in città, detto il vicolo della cocaina. Quanto è brutto questo edificio …messo lì a impedire la vista sulle montagne!” Da fuori sembra una coperta patchwork che scende giù dal cielo: tante finestre, tende diverse, vetri coperti da giornali, finestre rotte, coperte da cartoni. 

Skyline è l’incrocio dell’Africa, abitato da immigrati clandestini che arrivano da ogni parte dell’Africa in taxi, autobus, treno, camion, spesso a piedi … sono intrisi di polvere, si portano dietro la polvere dei campi di guerra in fiamme, la polvere delle miniere di rame, la polvere delle ossa dopo gli eccidi di massa, dei malati di AIDS. Vengono qui per tentare di ricostruirsi una nuova vita nel paese di Nelson Mandela… il nuovo re dell’Africa. 

Questo è il paese d Mr. Mandela, dicono, quindi tutto deve essere bello. Vengono da tanti luoghi diversi, quasi tutti in fuga da disumane storie di guerra, dalle rovine e dalle macerie della guerra, dagli orrori di cui sono stati vittime o testimoni. Spesso la musica trasforma ogni appartamento in un villaggio con canzoni che parlano di migrazioni e di nomadi. Pochi personaggi sono bianchi come le due sorelle protagoniste, la maggior parte, invece, sono neri con storie tragiche alle spalle, con cui convivono drammaticamente. Come dimenticare Princess che in un salone taglia, mette perline e fa treccine nei capelli! Viene dal Ruanda, abita al sesto piano e affitta un posto per dormire a chi ne ha bisogno, a quelli che arrivano senza soldi e pagheranno quando potranno, ma “con le loro storie scritte sulla pergamena del loro cuore, storie che non raccontano tanto facilmente. Loro stessi sono storie strisciate fuori dai bordi delle guerre civili e fuggite nel vento”. Princess: "Non ho più figlie, sono tutte morte..." Le sue braccia si muovono insieme alle sue parole, le sue mani si aprono e si chiudono come gigli neri. Solo più avanti capiremo che, quando i soldati irrompono nel villaggio  di Princess e hanno in serbo una morte terribile per le sue bambine, è lei stessa che le uccide. "Tu che sei la loro mamma, devi abbracciarle, tenerle strette al petto e ucciderle in modo delicato, prima che i soldati possano toccarle”. 

Princess ospita una donna del Sudan con i suoi due bambini. I ribelli hanno preso il villaggio e suo marito. E’ partita, lasciando tutto. I suoi piedi sono duri e spaccati. I suoi bambini non hanno scarpe. Hanno piedi che sembrano piccoli scarponcini consumati. Bambini silenziosi che non hanno paura, ma dovrebbero averne, perché hanno visto i loro fratelli fatti a pezzi e hanno visto le braccia dei loro nonni tagliate via dai ribelli e i moncherini sanguinanti abbandonati per terra.

Nel palazzo abitano anche le Spice Girls, Alice e Bluebell, due uomini che si travestono con abiti da donna di seta e satin. Hanno clienti fissi e una lunga lista d’attesa, ma, visto che lavorano solo di notte, possono, se necessario, ospitare la sorellina Mossie, quando non va a scuola. La solidarietà non manca in questo caseggiato! 

Ci sono poi Gracie, una cieca nera, e suo marito Clif, un cieco bianco, che abitano da poco allo Skyline con il cane guida Beth e il cui appartamento, pieno di libri, si distingue per pulizia e ordine. Lavorano per la polizia come centralinisti. Cameron Chinzano e Liberty invece vengono dallo Zimbabwe, per contattare dei commercianti di fili metallici. Hanno combattuto per la libertà della loro terra. Liberty è una poetessa, non scrive, ma con la sua voce immensa canta poesia che parla di guerra. Impavida, piena di coraggio, ha partecipato alla resistenza ed ora canta in lingua shona di bambini che corrono lontano dagli eserciti di Ian Smith. Il sassofono di Cameron ondeggia intorno alla voce di Liberty.  

La voce di Liberty e il grido della mbira sono il suono del terrore della ragazza, quando vede arrivare i soldati. Sono il suono di quello che ha visto dopo giorni passati a nascondersi, quando è venuta fuori dai cespugli e ha visto i corpi bruciati; sono il corpo di sua madre fusa dal fuoco insieme al corpo del suo fratellino, mentre lo abbracciava per difenderlo dalle crude fiamme della guerra. 

C’è anche Kwaku, venuto a piedi dal Ghana allo Zimbabwe, poi a CapeTown, ora che Mandela ha aperto le frontiere. E’ magro, leggero come un uccellino, più magro delle canne lungo il fiume, sta morendo, vuole tornare a casa per morire tra le braccia di sua madre e sente la sua voce che lo sta cullando. Per Kwaku,  agli amici non resta che cantare una canzone triste, ora che è tornato a casa. II tamburo suona per indicargli la strada.

Mrs.Clara Rawinsky è una figura fuori posto allo Skyline, perché ha tanti soldi, è gentile, anziana e molto vecchio stile, indossa vestiti eleganti, ha un appartamento pieno di libri, tappeti, quadri… Vive qui perché il palazzo è di fronte alla chiesa luterana, di cui è seguace molto devota. A Berlino ha aiutato gli ebrei durante il nazismo, ha preso parte alla resistenza clandestina. 

Il personaggio più importante, la cui storia si conosce un po’ per volta nei diversi capitoli del romanzo, è certamente Bernard, che abita al quarto piano, è clandestino, vende bandiere, perché i turisti vogliono bandiere di Mandela; viene dal Mozambico, dove non tornerà mai più, dove non ha più una casa, non sa se sua moglie e i suoi figli sono vivi. Lavorava nella ricca tenuta di un bianco, Felipe, e di sua moglie Isabela, i cui figli sono stati mandati in guerra in Angola, ma poi la guerra è iniziata anche in Mozambico. Nella grande fattoria arriveranno i soldati: tutti i soldati, di qualsiasi esercito e da qualunque luogo vengano, tutti hanno negli occhi la stessa cosa. Rubano oro e argento, uccidono brutalmente: Felipe è fatto a pezzi e dato in pasto ai suoi cani, le mani sono tagliate alla Signora, i bambini portati via per farne soldati. La guerra perseguita Bernard giorno e notte. La guerra, follia degli uomini, è il tema ricorrente del romanzo, in qualche modo riguarda tutti i personaggi, soprattutto quelli africani, ma non solo, perché c’è anche il ricordo della guerra attraverso gli orrori del nazismo. Come per Clara Rawinsky: "chi fugge dalla guerra, persona disperata… si porta dentro la percezione delle forme di barbarie che aleggiano ai bordi della nostra realtà sempre… nessuno torna dopo la guerra… quello che conoscevi, tutto e tutti sono cambiati.: si uccide e si dimentica... dalle crepe escono guerrieri neri e nazisti bianchi, sento il lamento di Princess con i corpi delle sue bambine ”. 

La guerra un coccodrillo che non si sazia mai.. la guerra vuole che io veda che è più potente di tutte le cose buone, che non può essere tenuta a bada dalla non- guerra che è solo una farfalla, un fiore dai petali delicati. Il vento forte o il sole battente lo fanno avvizzire… la guerra è il numero infinito di profughi che camminano come una colonna di formiche per raggiungere lo Skyline e la salvezza. 

E' l’incubo non raccontato da Bernard. Un flusso infinito di profughi che camminano da una guerra all’altra, da un paese all’altro, in un viaggio senza fine che attraversa il tempo.  In un bar c’è una donna della Sierra Leone con mano mozzata con un machete da soldati bambini, strappati dalle loro madri, drogati, malmenati, costretti a fare quelle cose. Charles è, invece, l’ubriacone bianco, soldato bambino in Angola,  che ora beve per dimenticare i neri uccisi. 

Il cielo di Cape Town è dedicato a tutti i bambini vittime della guerra, anche alle migliaia di bambini che in Mozambico furono costretti a combattere durante i sedici anni di guerra civile (1976-1992), la maggior parte di loro fu strappata alle famiglie e costretta a partecipare al gioco crudele e brutale della guerra. Il romanzo suscita interesse per l’afflato lirico che la voce narrante utilizza nel raccontare le storie dei personaggi; particolarmente originale, poi, il modo con cui si conclude ogni capitolo. Vi è sempre la descrizione di un quadro: colori, forme, figure che commentano quanto raccontato prima. Quel quadro è spesso paragonato ad opere famose, per esempio di Chagall, Renoir, Matisse, Picasso, Modigliani, Klimt e altri … persino a una Madonna con bambino di Giotto. Si scoprirà, poi alla fine, che il pittore è Bernard che ha imparato a scrivere e a dipingere gli orrori della guerra.

Un’altra costante del romanzo è l’attenzione ricorrente al traffico: c’è il caseggiato dello Skyline, il dentro e il fuori: "sono abituata al traffico e al modo in cui scava nella mia mente… musica liquida, mobile, morbida e calmante, una canzone fatta di suoni indimenticabili clacson mischiati con la velocità e la frenesia della città… una canzone che fa vibrare i miei sentimenti come se fossero uno strumento a corda oppure un tamburo che risuona in lontananza. Cancella tutti i silenzi che ci sono dentro di me."

Forse quel traffico è movimento che si accomuna al traffico degli emigranti: “è come un grido… ogni tanto ulula… ogni tanto sembra un canto di donna… è uno stormo di uccelli che schiamazza mentre se ne va a casa la sera… il traffico è la madonna della città, avvolge i bambini e i ragazzi senza tetto e li stringe forte, li osserva mentre dormono nei portoni o sui marciapiedi e sfiora i loro capelli con gentilezza”, “il traffico inghiotte le mie parole si getta sulle mie parole come un predatore affamato e le divora. Non ci sono parole nell’aria… guardo il traffico e rubo i suoi suoni per scolpirci le mie parole, con questo ruggito e questo movimento che turbinano ai piedi dello Skyline il traffico mi ricorda di non fare pensieri di famigliola felice.”

E poi nel cielo di Cape Town spesso ulula il vento e “io sento schegge che vorticano intorno a me e le parole gridano trasformaci in poesie ballate, trasformaci in dolci storie deliziose… c’è questa sofferenza dentro di me, come una poesia che vuole esplodere, - ma se non c’è vento - la poesia rimane lì e continua a bruciare. E so che rimarrà lì per sempre, questo cumulo di poesie scadenti che mi fanno male dentro".

La voce narrante si identifica, dunque, con l’autrice, Patricia Schostein, che vuole farsi poetessa e scrittrice?

Patricia Schostein Pinnock, Il cielo di Cape Town, Editrice Pisani, 2005.

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