giovedì 1 novembre 2012

Valerio Pellizzari, In battaglia, quando l'uva è matura

In battaglia, quando l'uva è matura. Quarant'anni di Afghanistan libro di Pellizzari ValerioPochi giorni fa si sono celebrati i funerali dell’ultimo italiano morto in Afganistan, un giovane alpino ventiquattrenne: sono così 52 gli italiani morti dal 2004, quando è iniziata la missione che doveva portare la pace, ma che in realtà è una guerra che non si conclude e non si vince. Senza fare inutili distinzioni tra morti italiani e non, in undici anni i morti sono stati ben 3300, di cui circa 2000 americani. 

In questo periodo mi sono interessata di Afghanistan, soprattutto dopo aver letto Limbo, l’ultimo romanzo di Melania Mazzucco, ottima scrittrice. La protagonista, il maresciallo ventisettenne Manuela Paris, responsabile di trenta uomini, è reduce da una missione di pace. Torna a casa dopo 127 giorni con le stampelle, dopo due operazioni al cervello, faticosamente sopravvissuta ad un attentato in cui ha perso tre suoi soldati . Una legge permette da circa dieci anni la presenza delle donne nell’esercito e Manuela è una di quel 3% che ha aderito, anzi il suo è il caso di una donna soldato fermamente convinta della scelta fatta e che riesce con determinazione a farsi apprezzare in Afghanistan dalla nona compagnia del decimo reggimento degli alpini. Il romanzo si articola in capitoli con un titolo che si ripete: LIVE in cui Manuela parla di sé tornata a casa e HOMEWORK, in cui racconta in forma di diario ciò che le è accaduto in Afghanistan. Scrivere infatti serve come cura per chi ha subito un terribile shock.


LimboOvviamente sto parlando di un romanzo e non di un saggio, ma, pur in una storia immaginaria, è possibile calarsi dentro l’atmosfera di una guerra “in quel labirinto di polvere e pietre” ostile, che è l’Afghanistan. Melania Mazzucco non è mai riuscita ad entrare in Afghanistan, ma la seria documentazione con cui prepara i suoi libri è una solida garanzia.

Letto questo libro, non mi sono fermata, perché desiderosa di approfondimenti storici aldilà del romanzo. Già qualche anno fa avevo letto un altro romanzo del mio amatissimo Nadeem Aslam,  La Veglia inutile,  di cui ho già parlato in questo blog, romanzo ambientato in Afghanistan, bello e interessante, ma complesso perché complessa è la storia di questo paese asiatico, che è stato nel tempo vittima di tante guerre, da cui nessuno è uscito vincitore.

Al festival letteratura di Mantova 2012, inoltre, tra i tanti eventi seguiti, non potevo ignorare quello in cui veniva presentato il libro di Valerio Pellizzari,   In battaglia, quando l'uva è matura, appena uscito presso Laterza. Questa volta si tratta di un saggio, un reportage storico, il cui sottotitolo è Quarant’anni di Afghanistan. L’autore, infatti, ha frequentato come inviato di guerra questo territorio, dagli anni settanta ad oggi. La tradizione ricorda che da secoli questo paese è l’orgoglioso e turbolento "cimitero degli imperi" o meglio degli eserciti imperiali. Questo era il titolo dell’evento di Mantova, presentato dal giornalista Giulio Anselmi, alla presenza del fotogiornalista Mario Dondero.

Anselmi, che dimostrava un grande apprezzamento per il libro di Pellizzari, ha voluto subito sottolineare che questo Afghanistan non è un Afghanistan da cartolina né da luoghi comuni per cui i mujaheddin sono buoni e i talebani cattivi. Non è facile raccontare questo paese asiatico complicato, ostile da sempre a dominazioni straniere, ma sempre oggetto del desiderio di conquista o di controllo di imperi come quello inglese in epoca vittoriana, poi sovietico al tempo di Breznev ed oggi, dopo l’11 settembre, dell’impero americano. Pellizzari dice di volersi mettere al di là dei paraventi, dei luoghi comuni, per narrare una realtà nuova, diversa, dalla parte degli afghani. L’Afghanistan. sempre presente nelle cronache, in realtà è un paese sconosciuto.

Nel primo capitolo del libro si parla di un pallone gigante grigio, un aerostato che si muove lento, silenzioso, l’occhio del grande fratello che spia un paese popolato da contadini, pastori, venditori ambulanti, nomadi profughi, ma anche da commercianti intraprendenti, mullah spesso senza cultura, guerriglieri. Solo due su dieci adulti sono alfabetizzati. Pellizzari aggiunge che “il pallone che sorveglia la vita di Kabul vede tutto. Anche l’uomo sconosciuto che lo guida crede di vedere tutto, ma i suoi occhi sono quelli di un cieco". Per questo Pellizzari vuole uno sguardo diverso su un mondo dissociato tra aquiloni e kalashnikov, carico di richiami storici e di suggestioni letterarie. Di qui passava la via della seta e sono passati Alessandro Magno,  Tamerlano, Kipling, Marco Polo ed anche i figli dei fiori, invasori innocui e innocenti con pochi soldi e molto tempo.

 Nel saggio si parla poco di droga, anche se si ricorda che, secondo statistiche ONU, nel 2010 c’erano 900.000 drogati, cioè il 7% dell’intera popolazione adulta e che nel 2001 l’Afghanistan era il primo paese al mondo per narcotraffico. Il nostro sguardo va alle popolazioni autoctone: Kirghisi, Pashtun, Dari, Hazari …, abitanti del "Paese dei Coraggiosi", come è scritto in inglese all’aeroporto di Kabul, a ricordare che lì non abita gente docile. Si ricordano città come Kabul, soffocata dall’inquinamento, Kandahar, vera capitale dei Talebani, dei pashtun intransigenti, Jalalabad, dal clima mite, quasi mediterraneo, con aranci e ulivi, Hera, famosa per i vetri azzurrati, con le vie alberate, giardini profumati … e poi steppe, ma anche oasi incantate. Il saggio parla del presente dentro la cornice del passato, fa riferimenti alla grande storia, ma soprattutto alle storie individuali. Anche di gente comune. E così’ conosciamo figure nobili come il libraio analfabeta che salva la cultura, vendendo libri per passione, o il barnabita, amico dei musulmani che lo chiamano Mullah Sahib o signor Mullah, con divieto di proselitismo, con una chiesa senza diritto di suonare le campane, per non offuscare il richiamo dei muezzin, suore infermiere cosmopolite, coraggiose, con il burka, o il vinaio di Kabul, un italiano che produce un ottimo vino e persino il cognac Nerone, in una terra con uve dolcissime, ma in cui l’alcol è vietato.

Molto forte è la diaspora afghana, quasi quanto quella armena o ebraica, pare siano sei milioni gli afghani in esilio e tra questi figure come Solimano, che vive in Europa e studia i robot ed ha realizzato scoperte importanti per la riabilitazione di pazienti amputati. A lui il merito di essere riuscito a collegare il braccio artificiale di una scimmia con gli impulsi trasmessi dal suo cervello, come se quello fosse un arto naturale. E’ vero che esiste la brutalità di certi mujaddin, il terrorismo cieco di alcuni talebani, l’ignoranza di molti mullah, ma anche la genialità, l’inventiva di afghani esuli e no. Si accenna solo al burka, ma si dà spazio alla costruzione di tante scuole femminili anche nei luoghi più impervi, frequentate da ragazze e senza l’ostacolo dei talebani. Avreste mai immaginato che in Afghanistan ci fossero giocatrici di basket capaci di battere la squadra femminile della Nato, o ragazze sciatrici, o una giovane donna capace di comandare uno staff di maschi nella direzione di una sala bowling.? Che dire di Malalai, eroina nazionale, figura femminile leggendaria, a cui sono dedicati scuole e ospedali, simile a Florence Nightingale, esaltata anche dai talebani pashtun intransigenti.: una guerriera pashtun del XIX secolo, una Giovanna D'Arco afghana che ispirò il popolo a combattere fino alla morte contro britannici e gli indiani, “anziché vivere una vita nella vergogna”.

Di tante cose si parla, ma raramente si fa riferimento ad un Afghanistan in cui abbondano oltre alle bellezze naturali, molte ricchezze minerali, tra cui pietre preziose, come rubini, smeraldi, lapislazzuli, ma anche ferro, rame, uranio cobalto, gas, petrolio, oro: risorse minerarie per un valore di mille miliardi di dollari. Una delle miniere è stimata essere la seconda riserva mondiale di rame. Non mancano anche importanti bellezze artistiche di rilievo, come monasteri buddisti, nonostante la distruzione nel 2001 dei famosi Budda di Baniyan, opere del 1500. Quanti hanno sentito parlare di Tilia Tepe, la collina d’oro, dove in un villaggio del primo secolo a.C. sono state ritrovate sei tombe con un ricchissimo corredo funebre in oro di straordinaria bellezza ?

Pellizzari nel capitolo del libraio analfabeta fa anche riferimenti di carattere letterario, contrapponendo il famosissimo Hosseini, l’autore di Il cacciatore degli aquiloni al maggior poeta afghano Abdul  Jahani, autore di Il comandante, in cui racconta le brutalità dei sovietici e in cui ci presenta i mujaheddin ora come angeli ora come demoni. Il rifiuto di Hosseini è legato al fatto che, vivendo da molto tempo negli Stati Uniti , è considerato uno scrittore occidentale che ha rotto i legami con le sue radici. Il film ricavato dal romanzo è vietato in Afghanistan per la presenza di fatti inconcepibili per le etnie locali. Gli afghani, uomini coraggiosi che aspirano soprattutto al mestiere delle armi, si sono trovati come guerriglieri a contrapporsi a militari stranieri a tecnologia avanzata, quasi robot, personaggi da videogame, dove l’elettronica conta più dei proiettili, ma incapaci di riconoscere veri bersagli. Quella afgana è la più vile delle guerre, combattuta quasi esclusivamente con l’aviazione e, sempre più spesso, con i droni: aerei senza equipaggio, teleguidati con un computer da diecimila chilometri di distanza e che fanno anche strage di bambini, come se fossero terroristi. Ora i turbanti degli afghani kamikaze nascondono bombe distruttrici, eppure il turbante, come il velo per le donne, era simbolo di onore, dignità sociale.

La ritirata definitiva degli eserciti stranieri è prevista per il 2014.

Quando gli stranieri - civili o in divisa - inizieranno a trasferirsi fuori dal centro di Kabul, a restituire quella parte della città ai suoi abitanti e a togliere i grandi palloni grigi, allora la partita a scacchi con la guerriglia comincerà ad avviarsi verso la fine. 

Questa la conclusione dell’inviato di guerra Valerio Pellizzari, ottimo conoscitore dell’Afghanistan, quello vero, fatto di persone e non solo di numeri. Dimenticavo... il titolo così originale del saggio è addirittura un richiamo ad un espressione simile utilizzata da Tucidide nella Guerra del Peloponneso così come nella Bibbia, per suggerire che le armi devono fermarsi quando il raccolto è maturo. Un tempo andare in guerra era parte di un ciclo naturale senza motivazioni razionali.

Valerio Pellizzari, In battaglia, quando l’uva è matura, Laterza 2012
Melania Mazzucco, Limbo, Einaudi 2012
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