domenica 25 novembre 2012

Alicia Gaspar De Alba, Il deserto delle morti silenziose

 Oggi, 25 novembre 2012, in tutto il mondo giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne. Emarginazione, stalking, razzismo sono forme di violenza fisica e morale che ancora sopravvivono nel secondo millennio.   Dall’inizio dell’anno 2012, secondo Telefono Rosa, sono 100 le donne uccise in Italia. Si è passati da un omicidio ogni tre giorni, registrato l’anno scorso, a uno ogni due giorni. E nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono mariti, ex fidanzati, comunque persone nella cerchia affettiva delle mura domestiche. L’87 per cento delle donne, che hanno chiesto aiuto a Telefono Rosa, hanno subito violenza in famiglia o da quelli che potevano ritenere fossero “i loro cari”, secondo l’indagine dell’associazione relativa al 2011.

L’istituto di statistica sottolinea che, sebbene gli omicidi siano calati (circa 1/3 rispetto a 20 anni fa), quelli in cui le vittime sono donne fanno registrare numeri alti: nel 2010 le donne uccise sono state 156; nel 2009 erano state 172; nel 2003 si è avuto il picco del decennio scorso con 192 vittime. E aumenta il tasso di omicidi che avvengono in ambito familiare o sentimentale: circa il 70% di questi omicidi sono compiuti da partner o parenti.
Invece che fare riferimento a fatti di cronaca recenti, ho pensato di trasferire in questo blog un mio precedente scritto, pubblicato in gruppodilettura.wordpress.com, su un romanzo che parla in modo particolarmente tragico di femminicidio in Messico. Per femminicidio si deve intendere l'assassinio di donne per il semplice fatto di essere donne, commesso da un uomo in una discriminazione di genere. Il deserto delle morti silenziose, pubblicato nel 2007 da La nuova frontiera, appartiene al genere dei romanzi–verità o ai docu-romanzi.

Alicia Gaspar De Alba era tra le scrittrici presenti nel 2007 alla Fiera del libro di Torino, nella sezione di LINGUA MADRE, ed è una cicana, cioè una scrittrice di origine messicana che scrive in lingua inglese. La cultura cicana è ritenuta una cultura di serie B, indegna sia per il Messico che per gli Usa, perché per questa sua duplicità per gli uni e per gli altri è come se uno svendesse all’altro lingua e tradizioni. Comunque Alicia è docente di letteratura cicana in una università californiana e, ad un certo punto della sua vita, ha sentito il bisogno di documentarsi e scrivere un romanzo, per denunciare e far conoscere al mondo i Femminicidi di Juarez, che è il sottotitolo del romanzo. Se avesse scritto un saggio avrebbe raggiunto un numero minore di persone rispetto ad un romanzo, se poi il romanzo è d’azione ed ha la forma del thriller, il pubblico si allarga ancora: fondamentale è rompere il silenzio almeno per i tanti lettori in lingua inglese.

La protagonista Ivon,  figura di fantasia, torna a El Paso, sua città natale, per adottare un bambino che una quindicenne dovrebbe partorire, ma che non fa a tempo a nascere, perché la madre viene barbaramente uccisa. Ivon è l’alter ego dell’autrice, anche lei nata a El Paso. Ciudad Juarez è una città di confine del Messico, corrotta e viziosa, separata dagli Usa solo dalle acque luride del Rio Bravo e, al di là del confine, continua con il nome di El Paso, civile e onesta, ed è Texas. Come si dice nel romanzo è il punto in cui il terzo mondo si scontra con il primo mondo Questa città, già ai tempi del proibizionismo, era luogo di contrabbando, meta per consumare droga e alcol. Oggi ospita 3000 night club ed è meta del turismo sessuale. 

La fiction, che è anche storia vera, per lo più ignorata dai media, vuole denunciare la catena di omicidi di giovani donne tra i 15 e i 25 anni che si sono susseguiti in questo territorio dal 1993: 400 ragazze (370 morti accertate secondo Amnesty Intenational, anche 1400 secondo altre fonti!). E’ qui che sono sorte le maquillas, fabbrichette di assemblaggio, aperte dalle multinazionali, per utilizzare manodopera a basso costo, giovani donne che confluiscono dal sud del Messico in cerca di lavoro, sfruttate, sottopagate, spesso senza documenti. Le Maquilladoras sono donne spendibili come un centesimo e spesso nei loro cadaveri sono presenti in bocca o nell’ano monete da un penny. Per essere assunte devono sottoporsi a testi di gravidanza o esibire assorbenti insanguinati. E molte di loro, con la caratteristica comune di essere giovani, di pelle scura, con i capelli lunghi, sono state trovate morte stuprate, barbaramente oltraggiate nei loro corpi, come è possibile immaginare soprattutto dal XXXIV capitolo del romanzo che si legge con raccapriccio e sdegno. I cadaveri sono rinvenuti nel deserto… quasi all’ombra della croce del grande Cristo di Rey. 

Perché tante morti? Perché tanta violenza? Non è ancora possibile sapere con certezza, forse è il seguito di macabri festini di narcotrafficanti, forse hanno a che fare con il traffico di organi o con rituali satanici o - cosa ancora più disarmante - questi omicidi potrebbero essere finalizzati alla realizzazione di film in cui gli attori muoiono davvero. E per vedere questi film con vittime vere pare si debbano sborsare anche 1500 dollari! Nella finzione del romanzo Ivon subisce anche il rapimento della sorella Irene e, coinvolta in prima persona, scopre una rete di sfruttamento, con il coinvolgimento della polizia e delle autorità locali, come pare sia nella realtà. 

Alla Fiera del Libro la presentazione di questo romanzo mi aveva particolarmente colpita, anche per la presenza di Amnesty International, impegnata da tempo in questa denuncia. Quando ho avuto tra le mani questo libro confesso di avere fatto una certa fatica a leggerlo e di averne interrotta la lettura, perché la prima parte è lenta, digressiva, troppo dialogata, poi sono riuscita ad arrivare in fondo con un discreto interesse. Per approfondire: due saggi, pubblicati in Italia sullo stesso argomento:
Victor Ronquillo, L’inferno di Ciudad Juarez e S. Gonzales Rodriguez, Ossa nel deserto

Alicia Gaspar De Alba, Il deserto delle morti silenziose, Nuova frontiera, 2006, pp. 400

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