domenica 11 dicembre 2011

A tre donne il Nobel per la pace 2011

Per tutto il 2011 si è proposto il conferimento del Nobel per la pace alle donne africane e così è stato, anche se la generica assegnazione si è concretizzata in tre donne con dei connotati ben precisi: due africane e una yemenita, quindi del Medio Oriente.
241 erano i candidati, tra di loro anche Emergency o blogger attiviste come la cubana Yoani Sanchez.
Le tre donne prescelte sono state premiate “per le loro battaglie non violente per la sicurezza delle donne, per il loro diritto a partecipare alla costruzione della pace… per aver dimostrato di voler agire in un contesto di belligeranza e di sopraffazione e non solo di essere vittime in un mondo in cui troppo spesso tattiche come lo stupro son tattiche di guerra”.
Il premio per la pace, per volontà di Nobel, è stato assegnato quasi tutti gli anni a partire dal 1901, ma, non a caso, a pochissime donne: voglio ricordare Aung San Suu Kyi (Birmania 1991 ), Rigoberta Menchu (Guatemala 1992 ), Shirin Ebadi ( Iran 2003 ).
E', quindi, importantissima in questo 2011 l’attribuzione contemporanea a tre donne, che hanno ritirato il premio, contraddistinguendosi e identificandosi nei loro coloratissimi abiti, così diversi dai nostri omologati abiti occidentali.
Elen Johnson Sirieaf

Ellen Johnson Sirleaf è dal 2005, presidente della Liberia, prima donna capo di stato in Africa. La “signora di ferro” ha ricoperto questa carica alla fine di una durissima guerra civile durata 14 anni, che è costata ben 250.000 morti. Sirieaf ha conosciuto la prigione, l’esilio negli Usa, da cui è rientrata nel 1997. Ha lavorato per la Banca Mondiale e per la City Bank in Africa. Con la presidenza ha contribuito allo sviluppo economico della Liberia e al rafforzamento del ruolo delle donne.
Leymah Gbowee



Anche Leymah Gbowee, la testarda, è liberiana, un’avvocatessa, madre di sei figli, che ha offerto un importante contributo per la fine della guerra civile. Con lo sciopero del sesso il regime fu costretto ad ammetterla al tavolo delle trattative per la pace. Il premio è un riconoscimento del fatto che le esigenze e le priorità delle donne non potranno più essere ignorate. Come operatore sociale è stato grande il suo impegno per il recupero dei bambini soldato, che venivano drogati e trasformati in macchine da guerra.

Tawakkul Karman
La terza donna è Tawakkul Karman, icona della rivolta yemenita, in questo anno di “primavera araba”. Ha 32 anni, tre figli, è una giornalista, fondatrice dell’Associazione "Giornaliste senza catene”, è una militante del partito islamico conservatore A Islah. Promotrice di una campagna contro il presidente dello Yemen Saleh, si è battuta per la democrazia e per i diritti umani. La rivolta yemenita non ha conquistato l’attenzione internazionale come le rivoluzioni in Egitto, Tunisia, Libia o Siria, ma Karman ha dedicato il suo premio a tutti i militanti della primavera araba: “Guardate all’Egitto. Vinceremo”.

Il premio è stato conferito a Oslo il 10 dicembre, in un giorno non casuale, cioè nel giorno anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, documento con cui in 30 articoli il 10 dicembre 1948 l’Onu proclamava la difesa dei diritti umani per tutte le persone del mondo senza distinzioni. Si proclamava che esistono diritti di cui ogni essere umano deve godere per la sola ragione di esistere.
Eppure la dichiarazione è ancora disattesa. Basti ricordare che nel 2010 il Nobel per la pace è stato assegnato “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina» all’intellettuale cinese Lu Xiaobo, che non ha potuto ritirare il premio perché in carcere, accusato di incitamento alla sovversione dello stato.

Amnesty International, che si occupa anche della diffusione, conoscenza e applicazione della Dichiarazione universale dei diritti, ha inviato personale esperto in Egitto, per testimoniare e documentare le violazioni dei diritti umani e ha mobilitato oltre 3 milioni di soci e sostenitori in tutto il mondo, per chiedere alle autorità egiziane di assicurare il diritto della popolazione a manifestare liberamente.

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