sabato 19 novembre 2011

Paola Caridi, Arabi invisibili

Arabi invisibiliHo incontrato più volte Paola Caridi alla Fiera del libro di Torino e a Mantova a Festivaletteratura 2011, come del resto ho già scritto in questo blog. Mi ha sempre coinvolto per la conduzione equilibrata e sicura dei suoi dibattiti e proprio questo mi ha spinto alla lettura di un suo saggio Arabi invisibili che ha un sottotitolo di per sé molto eloquente: Catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo. Quelli che non fanno i terroristi.
Paola Caridi può fare certe affermazioni, anche perché da sei anni vive in pianta stabile in Medio Oriente ed ha avuto la possibilità di approfondire la conoscenza del mondo arabo, come corrispondente dal Cairo nel 2001-2003 ed ora da Gerusalemme.
Si è parlato di lei e del suo libro come "diario di una giornalista mediterranea dagli occhi azzurri" e dei suoi incontri nei “suq” tra web e limonate alla menta. Il titolo dell’introduzione è appunto "Bush non ha mai bevuto una limonata alla menta”. La limonata alla menta è un pretesto, per sottolineare la raffinatezza della cultura araba, ma anche per evidenziare che il mondo arabo non è un blocco unico, per cui bisogna mostrarne le differenze. La limonata di Damasco è diversa da quella del Cairo o di Gerusalemme.
E’ probabile che Bush non abbia mai bevuto una limonata alla menta e come lui tutti quei potenti che decidono le sorti del Medio Oriente e del nord Africa e questo sta ancora a simboleggiare l’ignoranza in merito alla cultura araba.


Paola Caridi, studiosa di storia delle relazioni internazionali, con il suo libro scritto con lo scopo di smontare gli stereotipi, è colei che, come ha dichiarato in una recente intervista, ha visto scendere in piazza, il 27 gennaio 2011 a Piazza Tahir al Cairo, proprio quegli arabi invisibili di cui si parla nel suo libro: operai, disoccupati, blogger, attori, giornalisti, che, pur senza sindacati e partiti, hanno sentito il bisogno di manifestare e lottare, per conquistare la democrazia.

Il saggio è del 2007, quindi non è aggiornato in merito alla Primavera araba, ma è utile per capire le rivoluzioni di questo 2011, che sono nate,diffuse, coordinate all’ombra del web.
E’ finita l’era delle odalische e dei beduini come campioni rappresentativi del mondo arabo, ma occorre comunque smontare tanti stereotipi, per cui, soprattutto dopo l’11 settembre, gli arabi sono diventati potenziali terroristi o kamikaze al seguito di Bin Laden.

Ala-al-aswani, nella sua interessante prefazione al saggio della Caridi, ci ricorda che, persino quando studiava a Chicago nella famosa università dell’Illinois, di lui come egiziano o della cultura araba si sapeva ben poco, oltre alle Mille e una notte, alle piramidi, alle tende nel deserto e all’andare sul cammello.
“Lo stereotipo parla di un mondo arabo indifferenziato, mentre si tratta di una realtà enorme variegata, estremamente sfaccettata. L’Egitto, per esempio, è stato un modello per la democrazia di tutta la regione: negli anni venti del secolo scorso, abbiamo avuto il primo parlamento del mondo arabo, la prima costituzione, le prime libere elezioni. Abbiamo avuto la prima donna a raggiungere un’istruzione qualificata, la prima donna ad entrare in parlamento, la prima donna ministro. Ed è stata una donna, Sohuair Abu Shawereb, a vincere la prima gara automobilistica nel 1922. Non si può, dunque, paragonare l’Egitto con l’Arabia Saudita… Dalla fine degli anni 70, invece, quando il prezzo del petrolio è salito alle stelle, milioni di egiziani sono andati a lavorare nel Golfo, soprattutto in Arabia Saudita, e, quando sono tornati, hanno portato in valigia i risparmi e l’interpretazione wahhabita della religione, un’interpretazione chiusa e aggressiva”.
Così anche l’Egitto ha perso quella tolleranza che lo caratterizzava, anche se Al-Aswani scriveva già nel 2007 che l’Egitto si stava risvegliando e faceva riferimento al movimento Kifaya, di cui fa parte.

Arabi invisibili vuole, quindi, mostrare l’homo arabicus in tutta la sua complessità e quanto sia variegato il mondo arabo. Vuole restituire umanità agli arabi come individui. E così nel saggio si parla di ragazzi che padroneggiano internet, blogger, professionisti formati in università americane o europee, scrittori, cineasti, donne con o senza velo, anzi femministe con il velo, ragazze sensuali dei videoclip, fumettisti, nuovi imprenditori di telefonini e TV, non solo sceicchi del petrolio, suore cristiane che gestiscono le scuole migliori.

Sempre Al-Aswani nella prefazione dice di sé che, di famiglia francofona, ha frequentato un liceo laico, avendo compagni e professori ebrei. Sua moglie ha, invece, frequentato le suore francescane e i suoi figli scuole cristiane. “Noi egiziani non abbiamo mai avuto problemi a essere formati dalla pedagogia cristiana. Andare in una scuola cristiana significava avere una buona istruzione … abbiamo amato le nostre suore, che hanno accettato i nostri bambini... a qualsiasi religione appartenessero ed hanno insegnato loro ad amarsi l’un l’altro”. E, invece, “quello che ci è stato proposto in questi anni è solo l’islam nemico del cristianesimo, solo quello che segue la trita logica dell’antinomia della tradizione crociata”.

Al problema scuola Paola Caridi dedica un intero capitolo, in cui conferma quanto dichiarato dallo scrittore egiziano. Si parla della scolarità di massa come di una delle grandi conquiste della decolonizzazione negli anni cinquanta e sessanta. Scuola per tutti era uno degli slogan della rivoluzione nasseriana. Il 90% dei bambini della Lega araba è scolarizzato, ma questo numero potrebbe diminuire, perché sta crescendo il disagio sociale e aumentano gli abbandoni scolastici. E’ in crisi la scuola pubblica, perché negli ultimi venti anni si è ridotta la spesa per l’istruzione, gli insegnanti da professionisti autorevoli hanno visto lo svilimento della propria funzione, "i programmi educativi incoraggerebbero sottomissione, obbedienza, subordinazione, condiscendenza piuttosto che libertà di pensiero”, come dichiara anche un organismo dell' Onu.

Interessante anche il capitolo “Non solo velo”, dove si sottolinea che il portare il velo è visto, anche da parte di donne di successo e acculturate, come una scelta responsabile, non tanto per motivi religiosi, quanto per sottolineare la loro identità. “Il velo è tornato in Egitto - dichiara la scrittrice Ahdaf Soueif - in genere è una dichiarazione di identità, una protesta contro la globalizzazione culturale, una opposizione … all’idea che il modello occidentale sia il solo modello disponibile per le donne nei tempi moderni”.
E’ ovvio che c’è anche la donna per cui il velo è simbolo di una pratica religiosa, che esprime carità, modestia, autoresponsabilizzazione.

Vorrei concludere questo post già troppo lungo con un invito alla lettura di Arabi invisibili, che contiene tanti altri discorsi interessanti, per superare i pregiudizi e la disinformazione occidentale, e ricordare ancora Aswani che chiude la sua prefazione con queste parole :
"Io non posso considerare l’Occidente come il mio nemico … Se penso ad un simbolo dell’Occidente e della sua civiltà per il mio retaggio culturale e la mia formazione, penso a Vivaldi, a Shakespeare, a Molière, a Victor Hugo. Non certo a Dick Cheney. “

Voglio anche segnalare il blog di Paola Caridi : www.invisiblearabs.com

Paola Caridi, Arabi invisibili, Feltrinelli, 2007, pp. 172, euro 14.00.

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