martedì 11 ottobre 2011

Festivaletteratura 2011. Primavera araba (parte prima)


Il tema che più ho rincorso nel Festivaletteratura Mantova 2011 è stato senz’altro la Primavera Araba, a partire dal’evento “Lezioni dal secondo risveglio arabo”, condotto dalla giornalista Paola Caridi, che da molti anni vive e lavora in Egitto.

Gli intervistati erano Gad Lerner e Tahar Lamri, un intellettuale algerino che è vissuto in Libia e che ora vive in Italia da molti anni. Importante il suo doppio sguardo su Italia e Maghreb.

Nella consapevolezza che questo movimento rimarrà nei libri di storia per i mutamenti che promette di generare, Paola Caridi attraverso i due intervistati vuole fare luce sul lessico di queste rivoluzioni, per capire quello che sta succedendo e quello che succederà sull’altra riva del Mediterraneo, anche oltre il Medio Oriente e il Nord Africa.


Propone una parola araba e chiede se è meglio tradurre con Rivoluzione o Rivolta o Ribellione o Risveglio. Caridi è per Rivoluzione, Tahir risale alla radice araba che ha a che fare con il “Toro”, che, quando si infuria, si rimette in posizione. Gad Lerner si rifà alla sua storia personale di emigrante venuto bambino nel 1956 in Italia dal Libano, rimasto apolide per 24 anni e cittadino italiano dal 1984, grazie anche al matrimonio con un’italiana. Ricorda anche altre rivoluzioni come quella dei cedri in Libano, che nel 2005 ha visto la fine dell’occupazione siriana. Questo evento per Gad Lerner potrebbe essere una prima fase dell’attuale Primavera araba. Ricorda anche Samir Kassir, giornalista assassinato con un’autobomba a Beirut nel 2005, autore di un pamphlet, pubblicato da Einaudi, intitolato L’infelicità araba” e che oggi potrebbe diventare “L’orgoglio arabo”.

Seconda parola del lessico: Popolo.
Paola Caridi ricorda come scintilla che ha fatto scoppiare la rivoluzione in Tunisia il gesto fondatore di Mohamed Bouaziz, un giovane diplomato di 26 anni che si vede sequestrare la merce della propria bancarella, incassa uno schiaffo da una poliziotta (per di più una donna!), si cosparge di benzina e si dà fuoco il 17 dicembre 2010, gesto che fa dire ad una avvocatessa tunisina: “Bouaziz ha chiuso gli occhi, permettendo a noi di aprirli.” E così il popolo si è svegliato e ha cacciato Ben Ali.

Anche in Egitto il popolo ha ritrovato il suo ruolo, che è quello di legittimare o scardinare il potere, scendendo in piazza per 18 giorni: 15-20 milioni di egiziani sono scesi in piazza in tante città, soprattutto giovani, ma non solo. Ovunque i manifestanti avevano solo le bandiere nazionali, non hanno bruciato altre bandiere, avevano richieste precise di "Dignità e democrazia,” più che di pane. In Tunisia c’erano già state rivolte due anni fa, ma allora non c’era stata informazione. Invece la caduta di Ben Ali è stata data in diretta, perché non c’era più la censura. In Tunisia ci sono, oggi, 2 milioni d’internauti su 10 milioni di abitanti.

Tahar Lamri ricorda che la rivolta del 2010-11 è sotto il segno della poesia, ripetuta ovunque, in particolare i versi di Abul Quasim Al Shabbi (1909-34) che, all’inizio del 900, fece dei suoi testi un’arma di denuncia. Questi versi in particolare sono stati ripetuti (da I canti della vita):


Quando il popolo decide di vivere
Allora il fato dovrà rispondere
La notte dovrà aprirsi
Le catene spezzarsi

Terza parola: Cultura. C’è – dice Paola Caridi – un nuovo concetto di cultura per una rivoluzione non violenta, in cui ha grande importanza Internet per la diffusione e il coordinamento delle idee, per creare un nuovo tipo di agorà, un nuovo modo di fare politica. Questo spiega l’importanza dei giovani, che meglio conoscono ed usano le nuove tecnologie: su 350 milioni di arabi la metà ha meno di 25 anni, come ricorda Gad Lerner.
Indiscutibile l’importanza dei nuovi mass media come i Blog, Twitter, Facebook, o come Al Jazzera, che ha preparato e accompagnato il risveglio del mondo arabo, dando voce all’opposizione e mettendo a confronto il vecchio con il nuovo. Questo ha dimostrato un volto nuovo dell’altra sponda del Mediterraneo, non più solo una società oscurantista, divisa in clan, in cui i tiranni potevano ben contenere comunità selvagge, impedire che si sbranassero e fare per l’occidente da baluardo, per arginare il pericolo islamico. E così sono caduti Ben Alì dopo 23 anni, Mubarak dopo 30, Gheddafi dopo 42.

Quarta parola: Conoscenza. Noi occidentali conosciamo questi paesi da turisti o da studenti o per motivi di lavoro, ma è per lo più una conoscenza limitata. Il turista per lo più vedeva solo ciò che gli si faceva vedere. In Algeria non c’è turismo, che è invece importante per il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, come fonte di reddito. Diverso è il turista rispetto al viaggiatore: il viaggiare - dice Tahar Lanri - presuppone un incontro tra persone, la conoscenza dell’altro (mi viene in mente Kapuscinski!). Il termine "Altro" è riconducibile sia in arabo che in ebraico alla radice fratello, come precisa Gad Lerner. E non esiste il Medio Oriente o il Vicino Oriente, ma tanti paesi, ognuno con proprie caratteristiche. Così è limitante il termine "Arabo", utilizzato spesso impropriamente, per es. senza fare distinzione con i Berberi, presenti nel Maghreb.

Secondo Gad Lerner non c’è stato l’effetto domino, ma una trasmissione per risonanza, anzi ricordava come efficace paragone il famoso "Quarantotto" dell’800 in Europa.

Quinta parola: Lezione. Paola Caridi chiede: queste rivoluzioni insegneranno qualcosa anche a noi? Certamente il superamento del tifo di noi occidentali per i tiranni, che tenevano a bada i selvaggi. E’ finito il tempo in cui potevamo guardarli dall’alto in basso.

In questo incontro ho letto molto ottimismo da parte di tre personaggi, che hanno le loro radici o sono in rapporti stretti con il mondo arabo.

Diverso è stato invece l’atteggiamento dello scrittore e giornalista d’inchiesta americano William Langewiesche e di Lucio Caracciolo, direttore di Limes, che nell’ultimo evento “Dieci anni dopo” l’11 settembre, con cui si è chiuso il festival, si sono detti molto scettici riguardo ad un’evoluzione positiva della “primavera araba”.

Di Paola Caridi, che vive in Medio Oriente e nel mondo arabo dal 2001 (Il Cairo, Gerusalemme in particolare), corrispondente per L’Espresso, Il Sole 24 Ore, Il Riformista, Famiglia cristiana, voglio ricordare che è anche autrice per la Feltrinelli di Arabi invisibili. Catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo. Quelli che non fanno i terroristi. La prefazione è di Ala Al Aswani, lo scrittore egiziano autore di Palazzo Yacoubian.

Questo testo è già stato pubblicato in www.gruppodilettura.wordpress.com.

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