giovedì 13 ottobre 2011

Festivaletteratura 2011. Pagine della cultura. Ala al-Aswani

| Alle ore nove, nella parte retrostante la chiesa di S.Andrea dell’Alberti, c’è uno spazio dove, oltre a degustare gratuitamente un buon caffè, si può assistere ogni mattina alla lettura delle terze pagine dei quotidiani stranieri. Dal 2009 in questo spazio si fa la Rassegna stampa, coordinata da giornalisti di Internazionale come Alberto Notarbartolo e Piero Zardo.

Alcuni dei protagonisti della cultura internazionale sono chiamati a commentare sia notizie ricavate dai giornali tradizionali, sia da quelli on-line, dando al pubblico la possibilità di confrontarsi, con una prospettiva di volta in volta diversa, spesso distante da quella proposta dai giornali italiani.

Quest’anno gli incontri sono stati con Howard Jacobson, inglese, scrittore, saggista, giornalista dell’Independent, con Ala Al Aswani, con Rachel Donadio, giornalista del New York Times e Alain De Botton, scrittore in lingua inglese, autore in particolare di "Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti".


Ho seguito tutti questi incontri e devo dire che gli argomenti proposti a volte erano piuttosto banali; quello che ho apprezzato di più è stato quello con Ala Al Aswani, venerdì 9 settembre.
Gli viene chiesto di commentare un articolo sulle università americane come centri di potere, in cui prevale la logica della lotta. Aswani ricorda il periodo trascorso a Chicago (cfr il suo romanzo Chicago), per frequentare un master post-laurea durato 11 mesi e ne parla come di un momento positivo di accoglienza e rispetto per lui straniero. Il tema educazione è invece catastrofico in Egitto e, nella speranza di migliorarlo, sarebbe auspicabile il modello americano.

Il secondo articolo proposto è del Guardian, riguarda il Brooker Prize: di questo prestigioso premio si critica la rosa dei sei scrittori, tra cui sarà scelto il vincitore del 2011. L’articolo lamenta la scelta di libri che danno una gratificazione immediata, mentre sarebbe meglio valorizzare libri più impegnati. Aswani interviene, facendo un excursus sullo sviluppo del romanzo negli ultimi decenni, da quando negli anni cinquanta si parlava di declino o morte del romanzo, per aprire spazi nuovi a romanzi sperimentai, come il “nouveau roman.” Ricorda la ripresa negli anni ’80, per esempio con Gabriel Garcia Marquez. Per lo scrittore egiziano è importante la leggibilità. E’ per lui più importante la ricezione dell’uomo comune che non quella del critico letterario. Aswani ha un grande rispetto per il lettore comune, vuole scrivere per la gente, perché ama la gente che ha sempre la maturità per giudicare. Il romanzo non deve essere incomprensibile ai più. La leggibilità è un problema che deve risolvere lo scrittore.

Notarbartolo ricorda che Aswani, oltre che scrittore conosciuto in tutto il mondo, grazie a Palazzo Yacoubian, che si dice abbia venduto più copie del Corano, continua a praticare la professione di dentista ed evidenzia che i più non amano il dentista perché ne hanno paura. Nessuno va volentieri dal dentista. Aswani spiega che ha continuato a praticare il mestiere, perché in Egitto non si vive, facendo solo lo scrittore, se si vuole essere scrittore indipendente.
"Fare il dentista mi ha permesso di pormi contro il regime, di conservare la libertà di parola : il mio lavoro è,inoltre, una quotidiana esperienza umana; io divento amico dei miei pazienti, mi vengono anche a trovare, per prendere un caffè. Il mio non è solo un ambulatorio dentistico, perché mi interessano i problemi dei miei pazienti, ho rapporto non solo con i loro 32 denti, ma soprattutto con le persone. Da loro traggo anche il materiale per quello che scrivo.

Si commenta, infine, l’ articolo di una giornalista americana in relazione all’11 settembre. Si dice che la vera natura del mondo arabo si è manifestata non a Ground Zero, ma a piazza Tahir. Ma che cosa vuole dire “natura” del mondo arabo? Per Aswani si tratta di due eventi diversi non confrontabili, espressione di rabbie diverse.

La ribellione a New York è un delitto senza alcuna giustificazione, che non ci sarebbe stata neppure se fosse morta una sola persona invece di 3000. Sono criminali e basta quelli che hanno seminato morte. Al Cairo invece la rabbia si è espressa contro un tiranno, era una ribellione razionale contro una dittatura ed oggi, grazie a questo, c’è speranza in Egitto.
Non è d’accordo con l’espressione “capire la natura di un popolo”

Con le generalizzazioni si va verso il razzismo. C’è una sola natura, quella umana, senza distinzioni di pelle, di religione. Si uccide, quando non si guarda in faccia il nemico. Il pilota israeliano, uomo tranquillo, che sgancia bombe sul Libano e uccide bambini, non pensa di uccidere bambini, ma nemici.
Rammenta anche le istruzioni date alle truppe americane in Vietnam: “Quando sparate non guardate negli occhi; solo così si spara contro un nemico, dimenticando che è un essere umano”
Quest’ultimo discorso lo ripeterà a un pubblico diverso nel pomeriggio alla Cavallerizza

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